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Gregorio nacque verso il 540 dalla famiglia senatoriale degli Anici. Alcuni genealogisti collocano fra gli antenati di Gregorio, i Papi Felice III ed Agapito I. Gregorio era figlio del senatore Gordiano e di Silvia. Alla morte del padre, fu eletto, molto giovane, Prefetto di Roma.[citazione necessaria]
PAPA GREGORIO I
Grande ammiratore di Benedetto da Norcia, decise di trasformare i suoi possedimenti a Roma (sul Celio) e in Sicilia in altrettanti monasteri e di farsi monaco, quindi si dedicò con assiduità alla contemplazione dei misteri di Dio nella lettura della Bibbia. Non poté dimorare a lungo, nel suo convento del Celio poiché il papa Pelagio II lo inviò come nunzio, presso la corte di Costantinopoli, dove restò per sei anni, e si guadagnò la stima dell'imperatore Maurizio I, di cui tenne a battesimo il figlio Teodosio. Al suo rientro a Roma, nel 586, tornò nel monastero sul Celio, vi rimase però per pochissimo tempo, perché il 3 settembre 590 fu chiamato al soglio pontificio dall'entusiasmo dei credenti e dalle insistenze del clero e del senato di Roma, dopo la morte di Pelagio II di cui era stato segretario.
In meno di due anni diecimila Angli, compreso il re del Kent, Edelberto, si convertirono. Era questo un grande successo di Gregorio, il primo della sua politica che mirava ad eliminare gli avversari della Chiesa e ad accrescere l'autorità del papato con la conversione dei "barbari".Come papa si dimostrò uomo di azione, pratico e intraprendente (chiamato "l'ultimo dei Romani"), nonostante fosse fisicamente abbastanza esile e cagionevole di salute. Fu amministratore energico, sia nelle questioni sociali e politiche per supportare i bisognosi di aiuto e protezione, sia nelle questioni interne della Chiesa.
Trattò con molti paesi europei; con il re visigoto Recaredo di Spagna, convertitosi al Cattolicesimo, Gregorio fu in continui rapporti e fu in eccellente relazione con i re franchi. Con l'aiuto di questi e della regina Brunchilde riuscì a tradurre in realtà quello ch'era stato il suo sogno più bello: la conversione della Britannia, che affidò ad Agostino di Canterbury, priore del convento di Sant'Andrea.
A questo proposito si racconta che un giorno, scendendo dal suo convento sul Celio e vedendo sul mercato alcuni giovani schiavi britannici esposti per la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, esclamasse rammaricato: « Non Angli, ma Angeli dovrebbero esser chiamati… »
Santa Silvia (Roma 520 ca. - 592) fu la madre di papa Gregorio I. È venerata dalla Chiesa cattolica come santa e la sua memoria liturgica ricorre il 3 novembre.
Nacque intorno al 520, sposò Gordiano che apparteneva alla gens Anicia, nobile famiglia romana alla quale sembra sia appartenuto anche san Benedetto. La coppia andò ad abitare sul colle Celio al Clivo Di Scauri, dove oggi si trova la chiesa di San Gregorio. Ebbe due figli, il primogenito fu Gregorio, che poi fu eletto al soglio pontificio nel 590.
Rimase vedova intorno al 573 e si ritiro' in una località sull'Aventino dedicando il resto della sua vita alla preghiera e all'aiuto dei più bisognosi. La casa su colle Celio fu trasformata in monastero dal figlio Gregorio e Silvia si preoccupava di recapitare un pasto caldo al figlio monaco preoccupata che l'austerità della vita monastica non compromettesse ulteriormente la salute già cagionevole di Gregorio.
fonte Wikipedia
Da più parti giunge frequentemente la richiesta di contributi che guidino i fedeli alla partecipazione viva nel cammino storico del Santuario.
Il prezioso opuscolo che mi onoro di ridare alle stampe, per metterlo a servizio dei pellegrini che desiderano attingere alle fonti storiche della vita di questo Santuario, era esaurito da decenni.
È un libro nato cinquant’anni fa che conserva ancora la sua freschezza ed efficacia.
È stato pubblicato in forma anonima, con l’impegnativa presentazione del Vescovo del tempo, il dotto Mons. Salvatore Russo.
Dai documenti dell’archivio del Santuario risulta però che è stato scritto da Mons. Francesco Pelluzza e da Mons. Ignazio Cannavò.
Mi sono premurato di avvicinare S. Ecc. Mons. Cannavò, già Arcivescovo di Messina, che è stato mio insegnante in Seminario, il quale mi ha dato conferma sugli autori e mi ha autorizzato a renderli noti.
Mi ha detto anche che lui ha redatto solo l’ultima parte mentre il grosso dell’opera è stato realizzato da Mons. Pelluzza – morto nel 1975 - che si dilettava a dettare a Mons. Cannavò, suo discepolo, mentre passeggiava.
Sono grato a Mons. Cannavò per la sua innata benevolenza e magnanimità mentre sono felice di dedicare questa ristampa a Mons. Pelluzza, anche lui mio insegnante in Seminario, uno dei primi laureati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nato e legatissimo a San’Alfio, un paesino dell’Etna vicino a Vena, una delle figure più brillanti, originali, colte, simpatiche, mature di sacerdote che ho incontrato nella mia vita, del quale mi piacerebbe che la sua memoria e i suoi scritti non andassero perduti. Anche Mons. Cannavò è stato felice dell’idea.
Spero che questo primo passo possa contribuire a rilanciare ricerche e pubblicazioni storiche che facciano luce sui punti oscuri e sui vuoti storici della storia del Santuario.
Rivolgo un grazie all’Ambasciatore Silvano Pedrollo, della Pedrollo S.p.A., l’amico dei giorni grandi, che tantissime volte mi ha dato mani per gli altri e ha reso possibile la divulgazione di questo prezioso documento.
Il Rettore
Don Carmelo La Rosa
Dolcezza di ricordi monastici su cui brilla la luce purissima dell’angelico Papa Gregorio; eco lontana del salmodiare di Monaci tra il folto dei boschi etnei in quel di Mascali; gentilezza di leggenda mariana con improvviso zampillare di limpida fonte a designazione del luogo circondano di religiosa poesia l’umile chiesa di S. Maria della Vena e ne impreziosiscono il culto secolare alla Madonna.
Come sulla barbarie di successive invasioni e sul contrasto di lotte civili e di contese dinastiche, così sulla inquietudine del tempo nostro veglia la preziosa antica Icone di Maria col Figlio divino, che Le si adagia sul seno. E tutti conforta col Suo sguardo materno, tutti richiama dal travaglio della vita mortale al pensiero di quella che in Dio si eterna e di Dio si fa beata.
Se col Suo dolore, che la fa Regina dei martiri, insegna la necessità del dolore per tutti, col Suo amore di Madre ne addolcisce la pena; ne placa il tormento e ne fa comprendere il valore per un destino di pace e di gloria.
Meta di pellegrinaggi, oggetto di particolare devozione, Maria - Vena gratiarum - è stata e sarà una fonte di benedizioni per la nostra amata Diocesi.
Il libro che ho il piacere di presentare raccoglie quello che di più certo o di più attendibile si può dire intorno al sorgere e alle vicende dell’antico monastero e dell’annessa chiesa e, a leggerlo attentamente, non si sa se più ammirare l’ampia e sagace erudizione o quel segreto senso di devozione mariana, che tutto lo pervade e illumina.
Benedica la Madonna il lungo e paziente lavoro e lo renda giovevole alle anime.
Acireale 15 Agosto 1956
SALVATORE Vescovo